Anche il pin’occhio vuole la sua parte – Capitolo 26 di 37
Quando Pinocchio si arrabbiava, essendo appunto un pino, si “inalberava”.
Dopo essersi liberato dal pesante collare, Pinocchio si pose a scappare attraverso i campi. Aveva corso così tanto che d’improvviso pensò di essere giunto in Sardegna.
Avvicinata una signora, le pose la mano su di una spalla e chiese disinvolto:
-Mi scusi gentile signora…E’ “Nuoro”?-
-No, lavato con “Perlana”…- Rispose la signora.
Quando il burattino riprese a correre incontrò per caso due graziose scodelle.
Le scodelle andavano molto d’accordo tra di loro, non a caso erano “cer’amiche…”
Poi il burattino passò sotto un viale di case in costruzione ed all’improvviso udì cantare alcuni operai.
–Adesso lo so…- Pensò Pinocchio –Ho capito perché questo luogo si chiama…cantiere.-
E non si fermò un solo minuto, finchè non avesse raggiunto la strada maestra la quale, siccome era assente, dovette accontentarsi della supplente.
Su di un balcone di una piccola casina si intravedeva un pugile che garbatamente aiutava la dolce consorte a “stendere” il bucato.
Ma d’improvviso la corsa del burattino si bloccò di colpo.
Non vi era più traccia alcuna della dolce casetta con la buona fatina. Il clima era teso, così come i fili della corrente erano in “tensione”. Fra l’altro i fili della corrente presentavano i programmi televisivi, erano appunto fili…conduttori.
Al posto della casina bianca vi era solo una piccola pietra di marmo sulla quale si potevano leggere le seguenti parole:
QUI GIACE
LA BAMBINA DAI CAPELLI TURCHINI
DIVORATA DAI CANNIBALI
PERCHE’ ERA, APPUNTO,
UNA FATINA “BUONA”
LA FAMIGLIA ACCOSENTE
ALLA DONAZIONE DEGLI “ORGANI”
CHE SARANNO DISTRIBUITI ALLE VARIE E BISOGNOSE CHIESE.
L’androne che dava alla lapide era sporco, il becchino anziché dargli una ripulita, faceva il “pel’androne”.
Pinocchio rimase confuso e preoccupato, se fosse stato un pittore avrebbe almeno avuto a mente il “quadro” della situazione. Quando il povero burattino ebbe compitate alla peggio quelle parole, cominciò a piangere.
Di li a poco arrivò persino un grosso mago. Il burattino pianse un’intera settimana, era stato per tanto tempo con il…“Magone”.
Durante tutto il periodo nel quale Pinocchio non smise mai di piangere, passarono alcuni animali che cercavano invano di consolarlo.
Perfino una iena passando di lì si mise a ridere per non piangere. Da lontano si vedeva un disco volante parcheggiato nel viale. D’altronde, quella, era una zona “disco”. La bara della fatina era resistente all’acqua, infatti era una “palom-bara”.
I lamenti del burattino si fecero strazianti, più si lamentava e più gli cresceva il mento. Ad un certo punto, il mento fu così grande, che Pinocchio non potendo fare “altrimenti” cominciò ad avere delle allucinazioni:
Vide la scimmia di Tarzan la quale aveva subito un torto ed ancora non era stata risar-cita; gli apparve Amerigo Vespucci che frequentava la terza elementare, prese un nove in condotta e sognava di essere un condottiero; vide Robocop, anch’egli a scuola, che durante un’interrogazione si ricordava tutto perché aveva una memoria di “ferro”…
Quando il povero Pinocchio si riprese dal triste momento, era riverso sulla lapide della fatina. E piangendo diceva:
-Oh fatina mia perché sei morta?…Eri buona come il pane, per questo sei stata mangiata! Avevi così tanto sale in zucca, che i cannibali non ti hanno neppure “condita”… L’anno scorso ti era morta la gatta, Sig! Era andata al mare per farsi una nuotata. Ma non sapeva che il proverbio dice:
finchè va la gatta al “largo” che…affoga. Oh fatina mia…Hai donato tutti quegli organi, ma lo sapevi che ero un fifone; potevi almeno donarmi il “fegato”.
Sig! E poi, avevi detto che avresti chiuso un occhio per le mie marachelle ed invece li hai chiusi tutti e due e sei morta…Ih! Ih! Ih!…-
E mentre singhiozzava e si disperava a questo modo, passò per aria un grosso “colombostik”. Questo volatile era molto malato, si era ingoiato per sbaglio un tubetto di colla. Non solo non lo aveva ancora digerito, ma la colla gli aveva procurato un “attacco” di cuore. Il colombostik avvicinò il burattino e disse:
COLOMBOSTIK: Dimmi, bambino, cosa fai costaggiù?
PINOCCHIO: Non lo vedi? Piango, ecco! Mamma mia come sei “appiccicoso”! Lasciami in pace con il mio dolore. Oggi non sono proprio in forma, sig!
COLOMBOSTIK: Non ti scoraggiare dai, prendi esempio dal parmigiano: lui è sempre in…forma. A proposito non avresti mica da accendere?
PINOCCHIO: Ma che sei rimbambito? Non lo vedi che è giorno?
COLOMBOSTIK: Mamma mia che caratterino! Forse tu non sai chi sono io.
Io sono colui che ha scoperto l’America. Colombo. Ho scoperto l’America d’estate, gli americani poverini “morivano” dal caldo.
Quando il burattino si fu calmato dal triste dolore, il colombo si calò velocemente e venne a posarsi a terra. Guardando Pinocchio negli occhi, il colombostik gli fece una proposta:
COLOMBOSTIK: Conosco il tuo povero babbo.
PINOCCHIO: Cosa sai di lui? Riconducimi da lui!
COLOMBOSTIK: Lo ho visto all’USL. Era li per un prelievo, ma siccome aveva dimenticato il “bancomat” a casa, non potette fare il “prelievo”. Il povero Geppetto non fa altro che ingozzarsi di pere: è proprio “disperato”. Avrà già fatto più di mille chilometri per venirti a cercare. Ha bruciato così tante calorie che è stato arrestato per “piromania”.
Fu così che senza stare a dire altro, Pinocchio saltò sulla groppa al Colombostik ed esclamò contento:
“Posso fidarmi dei tuoi arti che utilizzi per volare?”,
“Certamente” rispose il volatile, “Sono onesti, sono le-ali”.
I due compagni di avventura presero il volo. Quando il colombostik muoveva le ali, che lui stesso chiamava in simpatia “Fausto”, comprimeva il ventre e dalle vie rettali fuoriusciva la famosa colla dal tubetto. La colla cadeva giù per le valli e per i paesi sottostanti, causando non pochi danni.
Alcune anziane signore che dapprima calzavano calze comuni, si ritrovarono ai piedi dei “collant”. Altre persone furono costrette per varie e bizzarre motivazioni ad “attaccarsi” al tram. Persino l’esercito militare che stava tranquillamente in pausa pranzo, si allarmò stupito perché fu “attaccato” all’improvviso.
Il viaggio in volo del colombostik continuò tutta la notte ed all’alba il burattino sentì i primi brontolii della fame:
-Ho fame-, esclamò Pinocchio –Voglio fare colazione, non è che avresti per caso un thermos?-.
-Spiacente!- Rispose l’uccello, -Mi è rimasta solo una stufa a legna-…
Volarono tutto il giorno. Sul fare della sera, il Colombostik disse:
-Ho una gran sete!-
-E io una gran fame!- soggiunse Pinocchio.
PINOCCHIO: Potremmo andare a pescare.
COLOMBOSTIK: E’ meglio di no, la pesca potrebbe provocare sonno-lenza!
PINOCCHIO: Potremmo chiedere aiuto laggiù, in quel convento di frati. Andiamo a parlare con il loro capo.
COLOMBOSTIK: Ma quale capo? Chi è che comanda in quel luogo, nessuno “porta i pantaloni”?
PINOCCHIO: Che disperazione! Sig! E’ proprio un caso delicato il nostro, come quello delle massaie; così delicato da doverlo prendere con le “mollette”.
Intanto la colla residua, contenuta nel tubetto a sua volta all’interno dello stomaco del volatile, cominciò pian piano a seccarsi e ad irrigidirsi. Non vi dico che tragedia abissale. Le vie rettali si ostruirono ed il povero uccello migratore non potette più espellere aria dal sedere. La pancia cominciò a gonfiare e a crescere a dismisura e in meno di mezz’ora il colombostik si tramutò in mongolfiera.
I più felici per questo evento erano i mongoli, così potevano comprare al “mercato”…
Infine il volatile posò a terra Pinocchio, riprese subito il volo e sparì.
Il burattino si trovò così su di una spiaggia affollata; molta gente urlava e gesticolava guardando il mare. Alcune donne parlavano in modo strano: dicevano “citta” anziché città, oppure “maternita” al posto di maternità.
Provenivano dal sud ma, ahimè, avevano ormai perso “l’accento”…
Un uomo era intento a colpire con la fiocina le magliette di varia misura che indossavano i bagnanti; era un noto “cacciatore di taglie”. Da lontano si vedeva una piovra ed il famoso cane “Rex” che facevano a gara a firmare autografi; vinceva sempre la piovra…
Molte bambine sulla spiaggia giocavano ai numeri, l’estrazione del “bambolotto”.
Ad un tratto il burattino scorse da lontano una barchetta, la quale sbattuta dall’infuriare delle onde spariva tra grossi cavalloni, a loro volta con dei grossi zoccoloni che per via dei “ferri” assai pesanti tendevano ad affondarla. Le onde erano così alte che si potevano ascoltare le partite senza accendere la radio.