La festa
Il nove aprile di un anno molto lontano organizzai una fastosa festa presso il mio maniero, non badai molto alle spese tant’è che presso tutta la contea si sparse la voce, infondata, che io ebbi ricevuto una non modesta eredità da qualche lontano zio del continente, notizia che non volli sfatare in quanto intento a gestire l’acquisto di candele e di grandi scorte di cibo che i miei cuochi avrebbero trasformato in gustose prelibatezze.
Non ero una persona molto amata, né dai popolani che invidiavano la mia fortuna, né dal cappellano che continuamente mi stimolava invano nel fare donazioni alla sua stupida chiesa e nemmeno da coloro che erano al mio stesso gradino sociale: non che io fossi più ricco di loro ma semplicemente perché ignoravo le loro abitudini spendaccione e inutili quali la caccia alla volpe o viaggi nel continente; no, io ero un tipo più dedito allo studio dell’antichità, di misteriose sostanze provenienti dai tropici e alla lettura di artisti ritenuti volgari o antiestetici.
Dunque non nego che molti mi odiassero: era una situazione che all’inizio tralasciavo, ma con il tempo è divenuta sempre più stressante e deprimente, non ammetto che ho iniziato a soffrire seriamente soprattutto quando scoprii che la pessima nomea subita si era diffusa sino a Edimburgo. Ciò metteva a repentaglio la mia reputazione e non potevo fare granché in quanto non sono mai stato un tipo estroverso ed espansivo; quando anche la possibilità di farmi una famiglia mi venne sottratta da queste voci invidiose, allontanando per sempre la persona che segretamente amavo e alla quale ero prossimo dichiararmi, decisi di vendicarmi attraverso un grande evento al quale quasi nessuno avrebbe rinunciato.
“Il barone sta preparando una festa? E tutta la contea è invitata? Deve essere proprio matto, tanto vale non rinunciare a questa offerta inaspettata!”
Ammetto che andai proprio fiero dell’organizzazione: un gran buffet di carne di bovino e selvaggina accompagnato da colorati dolci preparati con molta cura e vini molto raffinati e dolci, un’illuminazione fatta ad arte con giochi di specchi e vetri luccicanti e una semplice orchestretta che teneva allegra la serata.
Invitai tutto il paese, e non dimenticai i nobilotti della zona i quali vennero più per atteggiarsi con l’aria di gente superiore piuttosto che per approfittare della cena ricca, cosa che potevano permettersi tutti i giorni:
non mi importava la loro soddisfazione, ma solo la partecipazione, infatti avevo serbato per loro un discorso che tanto tenevo nell’esporlo personalmente.
E così feci quando la festa era ormai entrata nel vivo: quando tutti erano intenti a nutrirsi con golosità e a bere con ingordigia l’orchestra sospese la propria esecuzione e io salii a metà delle scale che dal giardino portavano ai miei alloggi, chiesi un momento d’attenzione cosa che ottenni giacchè tutti si voltarono, un po’ incuriositi, ma nel loro cuore schifati in quanto prossimi a udire le mie parole così odiate dai loro orecchi; alcuni addirittura protestarono per l’interruzione della musica.
“Innanzitutto vorrei ringraziare voi tutti per la vostra presenza, non mi sarei aspettato che le adesioni fossero così numerose, ma fortunamente ci sono cibo e bevande per tutti.
Voi tutti vi chiedereste perché mai il sottoscritto abbia avuto la così imprevista idea di organizzare una serata di tale giubilio. No non è volta a celebrare me stesso, ma voi tutti, massa di gentaglia ipocrita e infida; si proprio voi, voi che per anni altro non avete fatto che giudicarmi e condannarmi per la mia posizione, per la mia diversità sia da voi sporchi popolani superstiziosi e ignoranti sia da voi presuntuosi uomini e donne affermati che tanto godete della vostra ricchezza e influenza, del vostro potere. Ammiro la vostra iniziativa di venire a schernirmi in silenzio, approfittando della cena gratis messa a vostra disposizione: spero proprio che sia stata di vostro godimento nel palato, giacchè nel vostro corpo vi darà altrettanta sofferenza… Vi maledico tutti, maledico il giorno in cui siete stati concepiti, maledico le mammelle e il seme vostro, di vostri avi e dei vostri figli. E per concludere questa scherzosa serata lascio a voi tutti un segno del mio grande affetto”.
Tutti erano adirati e sorpresi di queste parole, avevo fatto centro; tirai così fuori dalla mia tasca un stiletto e mi incisi la gola in profondità, per poco non mi decapitai, il sangue spruzzò sui visi delle persone più vicine a me e iniziò a scorrere e gocciolare per i gradini. Mi accasciai al suolo e rotolai per le scale fermandomi alla base di esse con lo sguardo folle rivolto verso i presenti che terrorizzati fecero un sobbalzo all’indietro; alcune donne svennero, tutti impallidirono e il silenzio si sparse come la peste.
Ero morto, ma lo spettacolo non era finito.
Prima alcune persone iniziarono a provare delle strane sensazioni; si toccavano lo stomaco e la testa, non sembravano soffrire, ma l’orrore della mia orrenda morte presto lasciò il posto a una preoccupazione più grande che si trasformò in terrore: la gente iniziò ad acquisire un colorito grigio, gli occhi si infossavano, i capelli cadevano; fiumi di vomito scorrevano nel pavimento, i loro ventri si espandevano e si ritiravano in violente contrazioni fino ad esplodere disseminando pezzi di carne e materia nauseabonda nella sala. All’inizio si levarono orribili urla, ma presto, nel giro di pochi minuti non furono più in grado di gridare: mezz’ora dopo era tutto finito e un silenzio di tomba regnava in tutto il maniero.
La festa si era conclusa e i miei spenti occhi persi nel vuoto emisero una piccola fiamma di soddisfazione.