Letteratura Greca: schemi e mini-riassunti III liceo
Menandro
Nell'ellenismo scompare la tragedia, a causa della crisi delle poleis, e si ha una rivoluzione nella commedia. Nel 388 scompare la commedia antica, in quanto scompare l'elemento politico dalla commedia. Tra questi due tipi di commedie, l'antica e la nuova, c'è la commedia di mezzo, di cui però non disponiamo di molte fonti. Tra queste c'è la ilarotragedia, con Rintone, una tragedia mista ad elementi comici (farsa friacica).
Già nella commedia di mezzo i personaggi diventano dei "tipi" ben definiti, e scompare la parabasi (il momento in cui gli attori scendevano tra il pubblico).
Menandro ebbe una produzione vastissima, e delle sue oltre 100 commedie ci sono rimasti molti frammenti del Dyskolos (lo scorbutico), la Perikeromene, l'Aspis, la Samia, gli Epitrepontes.
Il Dyskolos, parla di un vecchio Cnemone, che abbandona moglie e figlio per andare a vivere con una vecchia serva e la figlia. Sostrato vuole conquistare questa figlia, ma Cnemone non vuole. Alla fine quando Sostrato cade in un pozzo, lo salvano Gorgia (il figlio) e Sostrato, e Cnemone acconsente al matrimonio di Sostrato, e Gorgia sposa la sorella di Sostrato.
Vi è un alternanza tra momenti comici e momenti più riflessivi. Inoltre è molto importante la presenza della tukè, della fortuna.
La perikeromene, "la donna rasata" da parte del compagno geloso.
Si alternano nella commedia di Menandro parti recitate (che sono semplicemente declamate) e parti recitative (che sono accompagnate dalla musica di sottofondo).
I personaggi della commedia di Menandro sono persone semplici, di piccoli paesi di provincia. I motivi principali nelle sue commedie sono ad esempio l'etera che sconvolge gli equilibri familiari, i rapporti extra-matrimoniali, i bambini che vengono abbandonati con degli anagorisma (i monili dati ai neonati al momento della nascita).
Il pubblico ora vuole una commedia facile da seguire, esente da tematiche impegnative, e con alla fine un finale risolutore. Tutta l'opera si basa più sul carattere stesso dei personaggi che sulla storia. Menandro disegna attraverso la parola il carattere dei personaggi. La lingua di Menandro è una lingua più equilibrata, rispetto allo stile di Aristofane.
Con Menandro l'uomo assume una nuova prospettiva, la sua unicità sta proprio nel fatto di essere umano.
Callimaco
Callimaco nasce a Cyrene e lavorerà alla biblioteca di Alessandria, sotto Tolomeo II Filadelfo, e Tolomeo III Evergete. La sua produzione fu vastissima: gli Aìtia, degli inni, dei giambi, degli epigrammi e dei carmi.
Inoltre, anche opere come erudito nella biblioteca di Alessandria, come i Pinakes (una sorta di catalogo della letteratura greca), il Pinaks, e operette sui fiumi dell'europa, uccelli, fondazioni di città etc.
Gli Aìtia è l'opera maggiore di Callimaco, composta in distici elegiaci (esametro + pentametro): tratta delle cause e delle origini di una serie di avvenimenti, come le origini di un nome, di un luogo, di una festa, utilizzando tradizioni mitiche molto nascoste e raffinate. Il suo è un processo eziologico, che inizia o a partire di oggetti, o è inserito in una cornice. C'è un enorme mole di erudizione dietro al lavoro di Callimaco.
La particolarità di Callimaco è quella di fare dei brevi componimenti, e ai suoi avversari risponde che Mimnermo non è famoso per il componimento maggiore, ma per le brevissime elegie, e che la poesia non va misurata con la pertica persiana.
Le Argonautiche
- Poema molto più breve dell'Odissea e dell'Iliade, solo 4 libri.
- Ricerca miti molto più antichi di quelli di Omero
- Non ci sono vere motivazioni per l'impresa
- Il poema è circolare, con il punto di inizio che coincide con quello di arrivo.
- Il protagonista è più un eroe moderno che un eroe omerico
- C'è un atmosfera di straniamento collettivo
- Contrasti cronologici, doppio piano del tempo, senso di acronia nel lettore
- A differenza dell'Odissea non inizia in medias res
- Non c'è più lo stile formulare, ma al contrario viene impiegato lo "scorcio" => caratterizzazione psicologica dei personaggi
- Viene rotto il canone dell'impersonalità omerica, usa spesso la prima persona con domande ed interventi.
Teocrito
Probabilmente nato a Siracusa, non si hanno notizie certe sulla sua vita. Si trasferì a Kos e poi ad Alessandria, dove trovò come signore Tolomeo Filadelfo.
Ha una produzione molto vasta, nel lessico suda sono citati i Bucolikà e diverse altre opere, elegie, giambi, carmi melici, etc. Ci sono giunti 30 carmi e una ventina di epigrammi (la maggiorparte dei quali contenuti nell'Antologia Palatina).
I 30 carmi di Teocrito erano noti come "eidullia", ovvero "piccola visione, piccolo quadro". Alcuni pensano si faccia riferimento a piccole scenette, mentre altri pensano che si intenda un piccolo componimento senza uno specifico riferimento alla vita agreste o pastorale.
Tutti presentano una grande varietà di contenuti e forme linguistiche e metriche.
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Gruppo bucolico: 11 carmi (10 e 11 carattere georgico, 2 carattere mitologico)
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Piccoli epillei: 13, 18, 24 e 26
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Mimi urbani: 14 e 15
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Tutti scritti in esametri e dialetto dorico
La classificazione dei carmi rimanenti è più ardua, con varietà di lingua e contenuti.
Teocrito è l'iniziatore e inventore del genere letterario bucolico che poi troverà seguito in Virgilio.
La caratteristica ricorrente del gruppo bucolico dei primi 10 idilli è la struttura amebea, ovvero con tutta una serie di domande e risposte tra due personaggi.
Ci sono diversi elementi di magia simpatica, ovvero la magia attraverso un oggetto, come una bambolina voodoo.
Riguardo i mimi, vengono usati diversi versi, come il coliambo ipponatteo, come trimetro giambico scazonte, detto mimiambo (trimetro giambico scazonte applicato al mimo).
Il realismo è una componente fondamentale dell'opera di Teocrito. I mimi di Teocrito vengono così chiamati perché hanno quella componente realistica tipica del mimo, ma non sono dei mimi in senso stretto come lo erano in passato.
I mimi conservati sono "le incantantatrici", ambientato a Kos, e "le siracusane". Questi due mimi riprendono quasi sicuramente quelli del conterraneo Sofrone. L'innovazione di Teocrito consiste nel fatto che se prima il mimo nasceva in prosa, Teocrito applicherà la struttura dell'esametro.
Pare inoltre che questi testi di Teocrito erano destinati esclusivamente alla lettura, e non alla messa in scena, se non solo nell'ambito ristretto della corte.
Ci sono pervenuti anche quattro poemetti di argomento mitologico, gli Epillei. Tra quesi si ricorda l'Ila, dove c'è un importante operazione di contaminatio tra il genere religioso, il dialogo drammatico e quello mitologico; e "Le baccanti".
L'Ila ha suscitato diversi dubbi in virtù del suo stile, dove Teocrito lo descrive solo in maniera essenziale e non a trecentosessanta gradi, fa pensare che Teocrito abbia fatto una sorta di emulatio polemica del mito di Ila di Apollonio Rodio.
Vi sono poi due encomi, uno dedicato a Ierone di Siracusa, e il secondo a Tolomeo Filadelfo.
Quintiliano parlava riguardo Teocrito di una "musa rustica et pastoralis". Ad ogni modo dall'analisi dei suoi componimenti si capisce che non è solo questa musa la vena ispiratrice di Teocrito sebbene sia considerato l'iniziatore del genere bucolico.
Tre sono gli elementi fondamentali della poesia di Teocrito: l'amore, il paesaggio, il realismo.
Il paesaggio conserva le caratteristiche del paesaggio della campagna siciliana, al contrario della campagna mantovana di Virgilio. In Virgilio la natura era vista come una forza inquieta capace di turbare la serenità del suo ordine; in Teocrito invece appare il mondo dell'asiuchia, ovvero il mondo della pacificazione, che non conosce i fragori della guerra.
L'amore accomuna Teocrito agli altri poeti del suo tempo, che proprio nell'amore e nell'eros trovavano la loro fonte di ispirazione. Teocrito ne descrive tutte le sue sfaccettature, a partire dalla sua genesi, e nel progressivo svilupparsi fino al prorompere della passione torrida e divoratrice del paesaggio.
Il realismo di Teocrito non è come il realismo che intendiamo oggi, in quanto il suo realismo è comunque filtrato attraverso l'arte, il filtro letterario della poesia di Teocrito. Ad ogni modo senza dubbio personaggi e situazioni descritte da Teocrito nascono da una diretta osservazione della realtà.
È all'interno dei mimi che si nota maggiormente il realismo di Teocrito, come nel mimo "le siracusane". Qui il realismo si realizza attraverso una commistione di toni e livelli stilistici, che a volte raggiungono livelli di inattesa crudezza.
La grandezza di Teocrito sta nella sua capacità di mantenersi in equilibrio tra realtà e fantasia , tra distacco ironico e intensa partecipazione emotiva, tra soggettivismo e oggettivismo.
Mosco
Visse a Siracusa nella seconda metà del II sec a.C. Le sue opere ci sono pervenute attraverso un grammatico di nome Stobeo. Scrive diversi componimenti bucolici in dialetto dorico; un epilleo di nome Europa in lingua omerica (dove è interessante l'uso dell'ek-frasis); un altro poemetto di nome "l'Eros fuggitivo", e il Megara, di autenticità dubbia.
Sicuramente spurio è l'epitaffio di Bione, probabilmente scritto da un discepolo di Bione stesso.
Bione
Vive a Smirne verso la fine del II sec a.C. e le sue opere ci sono pervenute mediante Stobeo. Scrive 16 componimenti in dialetto dorico, riguardo la sua opera principale, i Bucolikà.
È attribuito a lui anche l'epitaffio di Adone, da cui l'autore dell'anonimo epitaffio di Bione prende spunto per rendere omaggio a Bione stesso. In quest'opera si respira un atmosfera dai riti orientali, quasi torbida.
Infine, ci è pervenuto un frammento dell'epitalamio di Achille e Dedamia.
Eroda
Su un papiro ritrovato dal filologo F.G. Kenyon si sono ritrovato 8 componimenti di eroda, 7 completi e 1 frammentario. Si tratta di 8 mimiambi (mimi scritti in trimetro giambico scazonte).
La sua poesia è caratterizza da un apparente realismo, ma in realtà Eroda fa un recupero dell'antica lirica giambica (in quanto il mimo aveva conosciuto solo la prosa, ed ora viene invece utilizzato il coliambo ipponatteo), e ciò rivela il carattere assolutamente letterario e per nulla realistico dell'opera.
I primi sette mimi sono:
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Vecchia Gillide che si reca da Metriche, giovane sposa, invitandola a sposare uno spasimante, ma quest'ultima si oppone.
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Battaro, proprietario di un bordello, pronuncia un arringa contro un cliente penetrato a forza nel suo locale.
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"Il maestro di scuola", dove la madre di un ragazzo di nome Cottalo affida il ragazzo svogliato alle cure di un maestro con metodi molto duri. Alla fine il ragazzo scappa e si prende gioco dei due.
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Riprende la struttura de "le siracusane" di Teocrito, con due ragazze che si recano al tempio di Asclepio a Kos.
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"La gelosa", dove una signora matura e vogliosa vorrebbe torturare lo schiavo Gastrone, accusandolo di infedeltà.
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Due donne di Efeso discutono su un fallo di cuoio realizzato da un calzolaio di nome Cerdone.
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Si parla della contrattazione che le due donne fanno con il calzolaio, e ha una struttura amebea.
L'ottavo mimo invece è diverso, e ci è giunto in forma frammentaria. Qui si racconta di un sogno di Eroda dove sacrifica un caprone a Dioniso, in quanto aveva mangiato le foglie di un bosco sacro. Dopo, il Dio ordina di scuoiare l'animale e riempirlo come un otre, e saltarci sulla pancia cercando di rimanervi in equilibrio. Il vincitore alla fine è Eroda, e questo mimo probabilmente riprende una gara poetica con Ipponatte. In questo mimo Eroda innesta gli spiriti antichi e mordaci dell'antico giambo ipponatteo, con i mimi di Sofrone.
Ad ogni modo, l'opera di Eroda ad una seconda analisi appare piuttosto modesta, e non riesce a fornire quelle situazioni comiche che altri poeti della commedia antica e nuova come Menandro riuscivano a dare senza essere tanto scabrosi.
Polibio
Polibio è ricordato per le Storie, dove cerca di avvicinarsi il più possibile alla realtà dei fatti. Elemento fondante di tutta la sua analisi storica è la città di Roma e i motivi dell'ascesa dell'impero romano.
Due sono gli elementi della sua opera: università e pragmaticità della storia, la quale deve essere fondata sui fatta.
Lo storico pragmatico deve ricorrere ad: 1) lo studio dei documenti, 2) l'osservazione autoptica di città e luoghi, 3) conoscenza della politica.
Polibio dirà che il fine della storia è l'utile, e non il diletto. Dalla storia di possono avere diversi insegnamenti.
Riguardo i fatti storici, elabora uno schema classificatorio, nel quale vengono distinte la causa vera (aitia), la causa apparente (profasis) e l'inizio concreto degli avvenimenti.
Si ha un esempio riguardo la seconda guerra punica, dove il vero motivo scatenante fu l'animosità di Amilcare Barca verso i romani.
Nel cercare i motivi che hanno portato all'ascesa di Roma, elabora l'idea che le sei forme di governo principali, tre sane e tre che degenerano, si susseguono secondo un andamento ciclico, detto anaklukosis.
Si comincia dalla monarchia, che poi muta in aristocrazia. Tra questi aristocratici se ne distingueranno alcuni, creandosi un oligarchia. La massa dei cittadini reagisce generando una democrazia, che dopo si trasforma nell'ocolocrazia, il governo della feccia, e dopo una serie di violenze si riaffideranno ad un monarca.
Esamina Roma considerando il suo sistema politico un unione delle tre forme sane: consoli (monarchia), senato (aristocrazia), comizi (il popolo).
Dirà che anche Roma sarà condannata, dopo la sua acmè, ad un inarrestabile decadenza, come è successo per tutte le altre città. Ad ogni modo, nelle pagine di Polibio coesistono un Polibio giovane, estasiato dalla forza del popolo romano, e le riflessioni di un Polibio maturo, che ha visto bruciare Cartagine e Corinto, dove dice che il processo di decadenza di Roma comincerà quando si abbandonerà alla corruzione e al lusso sfrenato.
Riguardo la fortuna Polibio, con atteggiamento razionale e illuministico, dirà che si tratta di un potente strumento per il controllo delle masse, escludendo del tutto il reale intervento degli Dei.
Lo stile di Polibio è minuzioso, estremamente arido, che ricalca quello delle segreterie di governo e delle cancellerie. Ad ogni modo, manca in lui la profondità che aveva invece Tucidide, il quale non si limitava unicamente alla ricerca della causa prima, com'è invece in Polibio.
È uno stile avulso da ogni tipo di influsso retorico, e sono ben pochi i momenti in cui riesce a restituire emozioni, come nel celebre pianto di Scipione l'Africano sulle rovine di Cartagine.
La seconda sofistica
La seconda sofistica viene distinta in modo netto dalla prima in quanto vi è ora solo l'ostentazione della teknè retorikè, mancando invece di qualsiasi pensiero filosofico.
Non conta più l'argomento, ma la tecnica, la forma dei discorsi, che avevano il compito di affascinare il pubblico. Diventava una sorta di oratoria da concerto, che si sostituiva al teatro, svolgendo un importante ruolo di intrattenimento del pubblico. Spesso vi erano anche dei cosiddetti paignia, ovvero delle piccole esibizioni intorno a argomenti molto futili, come l'elogio della mosca, della calvizie, della febbre, etc.
Questa seconda fase dell'eloquenza è stata chiamata dal retore Flavio Filostrato appunto Seconda sofistica.
I principali esponenti furono Dione di Prusa, Elio Aristide, e Luciano di Samosata.
Dione di Prusa, che per la sua abilità di manipolare la parola fu chiamato crisostomo (bocca d'oro), scrisse un ottantina di opere di vari argomenti.
Tra gli scritti più importanti vi sono le sue critiche letterarie su Omero e Platone, e una serie di paignia, come l'elogio della mosca.
Oltre a questi, tre orazioni importanti: l'Olimpico (dove Dione esprime la concezione dell'arte come modo di rappresentazione divina), l'Eubolico (dove esprime la testi che anteponeva la vita campestre a quella tumultuosa della città), Atene sull'esilio (dove narra la dolorosa esperienza dell'esilio).
In Dione i contenuti sono sia più seri, sia futili. La prosa è scorrevole e varia.
Elio Artistide sarà contrassegnato da una malattia nervosa, che lo accompagnerà per tutta la vita. Si trasferirà a pregare nel tempio di Asclepio a Pergamo, per avere la guarigione del dio.
Ci sono pervenute diverse orazioni di vari argomenti, ad esempio i due discorsi siciliani.
Un'altra opera importante è "Sulla retorica", dove sostiene il primato dell'eloquenza; e l'altro "In difesa dei quattro", riguardo quattro generali ateniesi nella battaglia di Maratona.
Infine, tutta una serie di discorsi sacri, riguardo la produzione religiosa di Aristide con la sua esperienza di malato. Superstizione e fanatismo sono due elementi che ricorrono in questi discorsi sacri.
L'opera di Aristide è il punto più alto che la seconda sofistica raggiunse sotto il piano formale.
L'epigramma
L'epigramma è un genere che comincia ad avere una grande fortuna in età ellenistica, quando prima era scarsamente coltivato. Questo perché il poeta può far sfoggio in pochi versi di tutta la sua erudizione, nonché si adatta bene alla descrizione dell'attimo fuggente del reale, in pochi giri di parole.
I temi sono i più svariati, e uno tra i più diffusi era quello erotico, si ricorda ad esempio il topos letterario del paraklausitiuron, oppure l'abaude, dove l'amante impreca contro il mattino che ha posto fine al suo incontro amoroso. Frequenti sono poi gli epigrammi ekfrastici, gli epitaffi, ovvero i componimenti funebri.
Tutti gli epigrammi a noi pervenuti sono raccolti in una vasta silloge conosciuta come Antologia Palatina, che raccoglie quasi 3700 componimenti di 300 poeti diversi. Altre sillogi sono l'Antologia Planudea, e la Corona di Meleagro di Gadara (dove ogni poeta era paragonato ad un fiore).
Si distinguono tre scuole epigrammatiche:
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Dorico peloponnesiaca: con spiccata attenzione per il mondo della natura e degli umili; e l'impiego tradizionale dell'epigramma (conserva il suo valore originario di iscrizione funebre o votiva.
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Ionico-alessandrina: ha caratteri più innovativi, c'è una preferenza per i temi amorosi e simposiaci, oltre che una caratterizzazione autobiografica.
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Fenicia: dopo il II sec a.C., con la diaspora degli intellettuali alessandrini dopo la conquista romana della Grecia.
Gli autori più importanti delle rispettive scuole sono:
Anite di Tegea, Nosside di Locri, Leonida di Taranto. Quest'ultimo il principale esponente, con uno spiccato interesse per il mondo degli umili, e diversi epigrammi macabri e con riflessioni sulla morte.
Ionico alessandrina: Asclepiade di Samo, che scrive in asclepiadei, e di cui ci sono rimasti 45 epigrammi, con tematiche erotiche e simposiali, dove però manca la dimensione totalizzante dell'amore com'era in Saffo. Descrive un mondo frivolo e brillante, come una sorta di dandy ante-litteram.
Fenicia: Meleagro di Gadara, che è sospeso tra imitazione e originalità, e si concentra sull'epigramma mimetico e dialogatico. Approfondisce il sentimento d'amore, ed è una sorta di cantore greco proiettato verso l'oriente.
Plutarco
La vita di Plutarco è stata spesa perlopiù a Cheronea, a differenza di molti altri retori greci. La sua produzione è immensa, sia per varietà che per quantità di contenuti. Ci sono giunti solo la metà dei suoi scritti, raccolti in due grandi sezioni: le vite parallele e i moralia.
Le vite parellele sono così dette poiché si tratta di 32 coppie di biografie affiancate, una di un personaggio greco e una di uno romano, con alla fine un confronto, una sunkrisis. Si tratta a volte di confronti un po' azzardati, spesso accomunati da pochissimi aspetti in comune tra i due personaggi.
Si tratta, comunque, di un operazione puramente simbolica, e le varie biografie conservano comunque una loro forte autonomia.
Nella descrizione dei suoi personaggi, non è interessato ai caratteri della storia, e neppure ai grandiosi eventi storici, bensì attento ai gesti e alle parole che rivelano la verità interiore dell'uomo.
La seconda sezione riguarda i Moralia, così denominati impropriamente in passato poiché gli argomenti di argomento filosofico sono stati i più apprezzato dai posteri, e perché Planude, raccogliendo gli scritti di Plutarco, li fece iniziare proprio da quelli di argomento morale.
Gli scritti abbracciano un incredibile varietà di argomenti, e sono divisi arbitrariamente in 11 sezioni diverse.
Nei moralia ricorrono sia dialoghi narrativi, sia dialoghi drammatici, dove i personaggi prendono direttamente la parola. Si affianca poi un terzo tipo di dialogo, dove vi è una sorta di forma mista, con un dialogo diretta nella cornice di un racconto in terza persona.
Da tutte queste opere si ricava la straordinaria molteplicità di interessi di Plutarco, che riesce a collegarli direttamente con il presente.
La visione finale di Plutarco è una visione armonica tra universalità, individualità, e tra diverse culture.